Teatrino Sintetico Futuribile

Nel 1983, con l'”estetica della comunicazione” richiedevo che la sperimentazione artistica tematizzasse, anche drammaturgicamente, il nuovo spazio-tempo dischiuso dalle nuove tecnologie e le nuove forme di presenza che esse rendevano possibili. Anni dopo, nel 1990, e più specificamente, richiedevo che il teatro reagisse al “tempo morto della tecnologia (quello del cinema), introducendo il tempo vivo dell’accadimento tecnologico”, e attivando “quel presente continuo alla cui instaurazione antropologica tende tutta la tecnologia”. Dei tentativi non mancarono. Ad esempio, nel 2001 Golan Levin, un giovane artista americano, realizzò, all’ Ars Electronica di Linz, Dial Tones: A Telesymphony, un concerto fatto dagli squilli, attentamente coreografati, dei telefoni cellulari del pubblico: grazie ad un sistema informatizzato, ad interfacce di vario tipo ed agli squilli programmati dei telefoni portatili del pubblico che arrivavano in tempo reale, Dialtones metteva in scena uno straordinario evento acustico e drammaturgico.
Questo Teatrino Sintetico Futuribile si muove ora in questo stesso ambito sperimentale. Il richiamo al futurismo è del tutto pertinente, non tanto per il folklore rumorista che ancora esso trattiene, ma perché le aspirazioni e la meta inconsce del futurismo erano proprio eventi di questo tipo, che solo oggi però la tecnologia rende possibili.
La visione di questa sorta di pièce per smartphone risulta immediatamente piacevole e sembra richiedere un atteggiamento fruitivo ingenuamente infantile, come se si trattasse di una rappresentazione per bambini. Ma attenzione. Dal punto di vista concettuale essa risulta estremamente complessa, non solo perché fa vacillare e ridefinisce le nozioni di teatralità, di attore, di pubblico … ma perché attiva e dà a vedere quella nuova fenomenologia dello spazio-tempo e quel diversificarsi e dissolversi della presenza che caratterizzano il nuovo ambiente tecno-antropologico nel quale stiamo, inconsciamente, vivendo.

Mario Costa
Professore Emerito di Estetica
Università di Salerno
Settembre 2021

“L’idea del Teatrino Sintetico Futuribile è nata durante la prima chiusura. Prospettandosi un lungo periodo in cui sapevamo che non si sarebbe potuto fare teatro, abbiamo cominciato a domandarci come potevamo portare avanti la nostra ricerca.” Ugogiulio Lurini

“Stringi stringi, è solo questione di non poter mettere dei corpi organici insieme. Abbiamo pensato: facciamolo con corpi non organici.” Marco Bianciardi

Il Teatrino Sintetico Futuribile mescola vecchio e nuovo, artigianato e tecnologia, realtà e virtualità: pupazzi realizzati con materiali di riciclo, montati su macchine radiocomandate in scena, integrati con uno smartphone tramite il quale ogni teatrante può recitare da casa video-chiamando in diretta il proprio avatar sul palco.

Per spezzare la catena dei contagi abbiamo ben pensato, come alternativa alla chiusura dei teatri, di fornire ad attrici ed attori dei corpi sintetici con i quali calcar la scena: converrete con noi che sia sempre più ragionevole risolvere i problemi a monte, invece che a valle. In questo rozzo processo di metempsicosi reso possibile dalle odierne (benché ancora primitivamente fallaci) reti di telecomunicazione cellulare, dal 18 al 21 marzo 2021 ben ventitré interpreti sono virtualmente saliti sul palco del più che reale Teatrino, fisicamente allestito negli spazi della Corte dei Miracoli di Siena, recitando in remoto dalle loro abitazioni nei più disparati luoghi (Torino, Firenze, Rodez, Orvieto, San Benedetto del Tronto, Terracina, Siena e vari comuni limitrofi) in tempo reale; così come in tempo reale musiche ed effetti sonori sono stati trasmessi in rete da Berlino.

un’opera digitale di:
Marco Bianciardi, Andrea Fagioli, Ugogiulio Lurini e Lorenzo Marzocchi

Una produzione laLut – Centro di Ricerca e Produzione Teatrale.

In collaborazione con la Corte dei Miracoli Centro di Arti e Culture Contemporanee, col sostegno della Fondazione Toscana Spettacolo e Roma Fringe Festival.

Questa rassegna di spettacoli in libera visione è stata possibile grazie alla partecipazione a titolo gratuito dei teatranti: vi ringraziamo per il generoso supporto al loro lavoro che potrete esprimere tramite una donazione su PayPal.

Si consiglia al gentile pubblico di regolare manualmente la risoluzione (⚙️) delle dirette e di attivarne la notifiche (🔔)


18 Marzo 2021 – ore 21:00

 

Davanti all’infinito
di Bruno Corra ed Emilio Settimelli, 1916
con Paola Lambardi

Ultima tragedia dell’adulterio
di Ardengo Soffici, 1913
con Silvia Franco e Gianni Berardino

Dissonanza
di Bruno Corra ed Emilio Settimelli, 1916
con Gianluca Foresi, Bianca Gabbrielli e Paolo Fagioli

Seguirà alle 21:45 un incontro aperto al pubblico
con gli attori in videoconferenza


19 Marzo 2021 – ore 21:00

 

Canzone pirotecnica
di Francesco Cangiullo, 1915
arrangiata ed interpretata da Tommaso Taurisano

Pazzi girovaghi
di Remo Chiti ed Emilio Settimelli, 1916
con Ugogiulio Lurini e Sergio Licatalosi

Dramma
di Cesare Cerati, 1916
con Marta Mantovani e Filippo De Dominicis

Seguirà alle 21:45 un incontro aperto al pubblico
con gli attori in videoconferenza


20 Marzo 2021 – ore 21:00

 

Decisione
di Francesco Cangiullo, 1915
con Francesco Baldi

Parossismo
di Remo Chiti, 1916
con Giusy Nigro e Andrea Carnevale

Alternazioni di carattere
di Arnaldo Corradini e Bruno Corra, 1916
con Giovanna Donia e Ivo Grande

Seguirà alle 21:45 un incontro aperto al pubblico
con gli attori in videoconferenza


21 Marzo 2021 – ore 21:00

 

Canzone rumorista (da Anhiccam 2000)
di Fortunato Depero, 1924
con Tommaso Taurisano, Rita Ceccarelli, Sara Bogi, Ugogiulio Lurini

Passatismo
di Bruno Corra ed Emilio Settimelli, 1916
con Silvia Signorini e Massimiliano Poli

La fitta
di Paolo Buzzi, 1916
con Edoardo Rossi, Lucia Donati e Iwan Paolini

Seguirà alle 21:45 un incontro aperto al pubblico
con gli attori in videoconferenza


12 Settembre 2021 – ore 21:00

 

Bianca e Rosso
di Filippo Tommaso Marinetti, 1923
con Francesco Baldi, Bianca Gabbrielli, Sara Brogi,
Filippo Pellicci e Filippo De Dominicis

in diretta dal Teatro Trastevere di Roma


GALLERY FOTOGRAFICA
Foto di Daniela Neri


© 2021 Teatrino Sintetico Futuribile

Scenografie Andrea Fagioli
Burattinaggio Debora Lorenzotti
Regia video e coordinamento tecnico Lorenzo Marzocchi
Musiche originali e scrittura di scena Marco Bianciardi
Organizzazione e drammaturgia Ugogiulio Lurini
Riprese ed elaborazioni video Francesca Guglielmi
Siparista Francesca Boccacci
Fotografia Daniela Neri
Grafica e sito web Marta Mantovani
Promozione Bianca Gabbrielli, Giusy Nigro

Stringiti a me

Seduti al tavolo del loro immutato, asettico salotto, solo a tratti contaminato dai suoni provenienti dall’esterno, il prof. Chiurco e sua moglie Elisabeth vivono la loro quotidianità fatta di minestrone e solite conversazioni, tra ricordi intimi e segreti ancora non rivelati, e gl’incerti tentativi di rielaborare un passato ingombrante, con la con danza, la complicità e a tratti l’insofferenza tipiche di una coppia insieme da vari decenni.

È il 1970.

Poi, di colpo l’azione arretra di 26 anni, alla complicata notte tra il 29 e il 30 marzo ‘44: i toni si fanno concitati, le contrapposizioni radicali.

La tragedia è vicina all’epilogo, ma ci sarebbe ancora la possibilità di scegliere, di deviare il corso degli eventi.

Una storia di fantasia ispirata a fatti e personaggi reali, il tentativo di ripercorrere i tragici eventi dell’eccidio del Montemaggio da dentro la testa di colui che secondo molti ne fu l’ispiratore e il principale responsabile, e di sua moglie.

Il progetto nasce su iniziativa dell’Assessorato alla Cultura per ricordare la figura del partigiano Vittorio Meoni, unico sopravvissuto all’eccidio del Montemaggio, a pochi mesi dalla sua scomparsa.
In un momento storico in cui i fantasmi del fascismo sembrano riaffacciarsi con particolare virulenza, anche i linguaggi dell’arte possono essere uno strumento di riflessione e di consapevolezza, che pur nella complessità delle sfaccettature della realtà che l’arte deve saper cogliere, aiutino anche i più giovani spettatori, cui tali eventi appaiono ormai tanto distanti, a collocarli nella loro giusta dimensione storica.

A tale scopo, mentre cercavamo di acquisire quanta più documentazione storica possibile, abbiamo affidato la drammaturgia a un giovane scrittore, che sapesse parlare il linguaggio delle nuove generazioni, evitando di cadere in intenti meramente rievocativi, che non ci competono, ma offrendo attraverso la narrazione teatrale lo stimolo alla riflessione.
Dello spettacolo sono già previste, in collaborazione con l’ANPI, alcune repliche in festival resistenti della provincia di Siena, e si intende inoltre proporlo, in collaborazione con l’Assessorato all’istruzione, alle scuole medie e superiori per il prossimo anno scolastico.

una produzione Comune di Siena – Assessorato alla Cultura
con il sostegno di ANPI Comitato Provinciale Siena e UNICOOP Firenze Sezione Soci Siena.

Adele o le rose

Adele è giovane e innamorata. Nella gabbia dorata della sua camera Adele riflette, ma dalle memorie evocate quale anomalia affiora? Dal contrasto con i genitori quale difficoltà emerge? Quale disagio ritma il suo palpito? Cerca negli oggetti la possibilità di fissare tracce di sé.
Cerca nella ripetizione il senso dell’atto originale, della parola intima, del sentimento autentico.
Adele si lascia avvolgere da un rumore di sottofondo invadente come il dolore. È il dolore che la rende consapevole di un’identità non conforme al costume comune, come quello borghese, viziato e opaco della Siena di Tozzi. A chi appartiene? Ad affetti che la sfiorano come arti fantasma? Alle cose che non usa più? Alle stagioni che appaiono come l’unica vita reale?
La Natura la pervade, liquida, le apre i sensi ed insieme la rende più esile, come trasparente, tragicamente inadeguata al confronto. È successo “qualcosa”, ma dove si individua, nel racconto dei fatti, il punto di rottura, la scollatura da ciò che ci contiene e che ci definisce?

Una versione di Adele o le rose è stata rappresentata in forma teatrale per la prima volta a Siena con la regia di Giuliano Lenzi nel 1983, nella Sala degli Specchi dell’Accademia dei Rozzi, in occasione del Convegno Internazionale di studi dedicato a Federigo Tozzi nel centenario della nascita 1883-1983.

Le foto di questa pagina sono di Alessio Duranti

B.I.C.U.S.

“Siamo sull’ottomana, beviamo qualcosa, ci godiamo la musica, facciamo due chiacchiere.
È il nostro terzo appuntamento, sera tardi, dopo la cena a e magari anche un film o due salti in discoteca. Mi piace tantissimo ballare. Insomma. Quando intuisco che è il momento giusto dico, senza un’atmosfera o qualche accenno introduttivo veri e propri: come la prenderesti se ti legassi?
Queste sei parole. Così. Alcune rifiutano su due piedi. Ma è una percentuale minima, direi scandalosamente minima. So se succederà nel momento stesso in cui lo chiedo. Ligeti, la cui opera, lei lo saprà senz’altro, è tanto astratta da sfiorare quasi l’atonalità, fornisce l’atmosfera ideale per proporre lo scenario contrattuale. In più dell’85% dei casi, il soggetto accetta.”

La scrittura di David Foster Wallace ci ha sorpreso per l’immediatezza, la nitidezza, l’ironia severa con cui i protagonisti delle brevi interviste si delineano, mostrando la bassezza ordinaria delle loro pulsioni, nella quale non possiamo che riconoscerci continuamente; non indugia mai sugli aspetti dolorosi che proprio per questo emergono, in controluce, in maniera a tratti violenta.
Il cinismo dei personaggi e quello con cui lo scrittore ce li descrive, sembrano alimentarsi e moltiplicarsi a vicenda, così come – sul nostro palcoscenico – i flussi di coscienza manipolati da Ugogiulio Lurini (attore con vocazione soprattutto monologante, giullare medievale e improvvisatore in rima) sono alimentati da e alimentano quelli di rumore prodotti dalla chitarra di Marco Bianciardi (autore e fondatore del progetto berlinese The Somnambulist, già visto in passato tra le fila di gruppi musicali italiani quali Elton Junk e Caboto).
Ognuno dei personaggi sceglie di raccontarsi a un interlocutore – anzi, generalmente un’interlocutrice, un’intervistatrice appunto – per un bisogno e un compiacimento nel rappresentarsi, senza per questo riuscire a cancellare l’impressione di profonda, disperata solitudine che ciascuna delle loro storie lascia trasparire.
Delle numerose finte interviste che compongono il libro ne abbiamo scelte sei: sei diverse sfumature di “maschile schifosaggine”: quello che si vanta d’aver sedotto una ragazza dal cuore infranto ai cancelli dell’aeroporto; quello che si lamenta d’una incontrollabile stranezza nell’atto dell’orgasmo, che gli rovina tutti i rapporti con le donne; quello che si compiace d’aver sposato una che, avendo già fatto un figlio e non avendo il corpo sfatto, gli garantisce buona “tenuta” per il futuro; quello che ha fatto del braccio monco uno strumento di attrazione per le donne; quello che la lascia perché lei è terrorizzata dall’idea di essere lasciata; e infine quello che ci racconta la sua tecnica per attirare in camera da letto le predestinate al suo gioco di schiavismo.
Il problema maggiore non è stato scegliere ma scartare.
Ce ne sarebbero almeno altrettante che vorremmo mettere in scena.
Ma già così sono usciti circa 100’ di spettacolo, che ha debuttato nel Giugno 2010 al
Festival Voci di Fonte di Siena ed è stato replicato presso l’agenzia Einaudi e la Sala Lia Lapini di Siena, al Palazzo Santa Margherita di Modena, a La Riunione di Condominio a Roma e al Teatro Nomade di Trieste, combinando diversamente ogni volta 3 dei 6 quadri.

La foto di questa pagina è di Daniela Neri

Follie d’amore, Follie di guerra

Il progetto “Orlando” è un progetto di spettacolo che si basa sulla possibilità di lavorare su un montaggio e una drammaturgia “esplosi” dell´Orlando Furioso di Ariosto, una struttura spettacolare sufficientemente aperta da poter accogliere ciò che il Caso, e dunque la vita, pongano all´attenzione di chi si trovi impegnato nella creazione di un evento teatrale.
Il dispositivo drammatico del Furioso, vero e proprio labirinto di vicende e immagini che continuamente si allacciano e si sciolgono, ci sembra il giusto mezzo fra la cultura colta e quella popolare, un potente racconto di episodi carichi di umanità e di contenuti fantastici, una struttura narrativa che si apre continuamente e continuamente offre possibilità di sviluppo scenico, e non ultimo, un grande poema scritto in quello che nelle nostre zone è per eccellenza il metro poetico, ovvero l’ottava rima. Inoltre, ci offre l’opportunità di parlare, col supporto dei versi immortali dell’Ariosto, di temi intramontabili, sempre e ovunque attuali.
Infine, il dispositivo drammatico dell´Orlando permette di arrivare, col supporto dei versi dell’Ariosto, a una lettura tematica della vicenda, che si presti all´interpolazione delle storie e delle vite delle persone, storie personali e collettive in forma storica o leggendaria legate ai grandi temi del Furioso: la guerra, la follia d´amore, la gelosia, il fantastico, il fiabesco.
Lo spettacolo è soprattutto la sperimentazione di un metodo di lavoro e di una strategia di composizione che si fonda sulla narrazione, il ritmo e la comicità, e che ripercorre le vicende dell’Orlando Furioso lungo il filo conduttore della follia d’amore.

L´Orlando Furioso è un poema di guerra, cioè di follia.
Però l´Orlando Furioso è anche un poema d´amore. Cioè di follia.
Ma l´Orlando Furioso è soprattutto un poema folle, nel corso del quale c´è sempre qualcuno che sta inseguendo qualcuno o qualcosa che spesso non raggiungerà, le vicende si intrecciano e si deviano continuamente.
Prendiamo l´inizio: c´è Angelica, la bellissima figlia del re del Catai, che sta fuggendo dal campo cristiano, dove il re Carlo Magno l´aveva fatta tenere in custodia dal duca di Baviera per tenerla lontana da Orlando e Rinaldo, i due più valorosi paladini cristiani, che, essendo entrambi innamorati di Angelica, rischiavano di distrarsi dalla guerra, sicché Carlo Magno l´aveva sottratta alle loro attenzioni e l´aveva promessa come trofeo di guerra a quello di loro che quel giorno si fosse mostrato più valoroso in battaglia. Senonché quel giorno i Cristiani avevano perso, il duca di Baviera era stato fatto prigioniero, e Angelica aveva visto bene di svignarsela: era montata a cavallo e aveva cominciato a fuggire per un bosco. In mezzo al bosco Angelica incontra un paladino armato di tutto punto, intento ad un inseguimento: è per l´appunto Rinaldo, che sta cercando il suo cavallo…

Di questo spettacolo esiste una versione per un attore solo, dal titolo Folle la guerra e chi per lei si svena, ma non meno l’amore a morte mena. Vedi la scheda

La foto di questa pagina è di Daniela Neri

Racconto dal sottosuolo

Il lavoro nasce dall’incontro con un libro illustrato per bambini, Il racconto del lombrico del poeta dialettale Nino de Vita. Racconto in versi dalla saggezza antica sui mali passati e presenti della democrazia e della giustizia, una parabola per bambini e grandi, semplice e immediata, contro la demagogia e la scorciatoia dei capri espiatori.

Una voce si leva dal sottosuolo: “Sono innocente, non è colpa mia!”. Come stanno davvero le cose? Un pezzo di terra in una parte qualsiasi del mondo: un orto rigoglioso e ben curato; una minaccia terribile arriva come un fulmine sui suoi abitanti e rischia di metterli in pericolo di vita: le piante dell’orto stanno morendo. Di chi è la colpa? Da sopra e sotto il suolo si levano grida di paura. Tutti cercano il colpevole: bisogna trovarlo a tutti i costi, fare giustizia. E giustizia sarà fatta?
Il vivere pacifico di una comunità civile, “per bene”, come quella dell’orto, composta da grilli, lumache, chiocciole, lombrichi, grillotalpa ecc. si interrompe con l’arrivo di una minaccia esterna che fa scatenare paure e sospetti dell’uno nei confronti dell’altro: le piante dell’orto stanno morendo! Si cerca, in nome della giustizia, di ripristinare un’apparente serena convivenza civile cercando di individuare il colpevole e punirlo.
Il gatto, ospite dell’orto, comincia a solleticare le coscienze di un universo fragile e costretto a “vivere insieme”; è lui a stuzzicare dubbi, anche su di sé. Chi è innocente? Chi è il colpevole? Abbiamo scelto l’agire attorno ad una scenografia essenziale e fortemente evocativa, piuttosto che il racconto dei fatti, per dare spazio e vita agli ambienti, alle atmosfere, relazioni, conflitti ed emozioni che muovono la storia e ne rivelano la complessità. La parola entra in scena solo quando diventa necessaria per essere più forte ed incisiva. I personaggi e gli animali sono soltanto evocati attraverso elementi di costume e oggetti di uso quotidiano.

Età consigliata: 5-10 anni Lo spettacolo può essere la premessa di un percorso sui diritti umani in classe, curato da Amnesty International

Conversazione con l’uomo nell’armadio

L’uomo nell’armadio cui allude il titolo è una creatura disagiata, con un passato e un presente di sofferenza, ormai metabolizzata e trasformata in una patologia cronica.
Ma anche in un’urgenza di raccontarla.
L’uomo nell’armadio è indubbiamente un caso interessante per la psichiatria. Non solo per il suo stato di disagio o per la sua apparente mancanza di una vita normale fatta anche di rapporti col resto della società, ma anche per la lucida decisione di fare del proprio passato e della capacità di leggerlo la materia di un racconto tutt’altro che improvvisato.
Si tratta infatti di un racconto ragionato, ordinato, curato anche nella scelta di un lessico “alto” che la biografia del personaggio non lascerebbe supporre: è come se l’uomo nell’armadio avesse vissuto fino a diciassette anni nel grembo materno, ha imparato a leggere e scrivere solo a diciotto anni, ha dimenticato tutto in fretta e ha passato il resto della vita facendo lo sguattero, il ladruncolo, il carcerato. Dunque ciò che non ci racconta, il momento in cui ha deciso che la sua storia meritava di essere raccontata – nel chiuso della sua camera/armadio o in un teatro; a se stesso, ad un assistente sociale o a un pubblico plaudente – è ciò che lo rende un po’ meno selvaggio e un po’ più simile ad altri ma anche ciò che probabilmente lo ha fatto rinchiudere nel suo mondo, più semplice, più gestibile di quello vero.
Lo spettacolo si svolge in un appartamento, tra una cucina regolarmente funzionante e una sala adibita a teatro, da uno scorcio di quotidianità spiata attraverso una porta a una dimensione teatralmente astratta ed evocativa, resa appena visibile da una luce livida.
L’irruzione della musica segna il compimento del dramma.
I pochissimi spettatori sono ospiti, e quasi intrappolati fra un bordo e l’altro della scena.

La foto di questa pagina è di Daniela Neri

Beauty Farm

Due ambigue figure, due “mutanti”, governano incontrastati una fattoria come un piccolo stato dove regna sovrana una pseudo democrazia.
Antagonisti per indole, complici e alleati per necessità, Napoleon ed il suo portavoce, nonché braccio destro e sinistro, esercitano il potere su un popolo voyerista, manipolando sfacciatamente e distorcendo spregiudicatamente ogni principio democratico e di uguaglianza sociale a vantaggio dei propri affari e privilegi.
I nemici all’occorrenza diventano amici, gli oppositori diventano traditori, le azioni repressive diventano misure di controllo a tutela della tranquillità ed del benessere della comunità, il falso più vero del vero. Al popolo “addomesticato” restano i cimeli e qualche commemorazione di un tempo sfocato in cui si ribellò alla tirannia per conquistare la libertà.
Una “gloriosa” memoria collettiva, imbalsamata, costantemente rivista e corretta ad uso e consumo del potere, che non indica più nessuna strada ma consola coloro a cui ormai sembra di ricordare che “comunque prima stavano peggio”.
Una favola nera, allegorica, che si rifà espressamente a La fattoria degli animali di George Orwell in cui si mostrano le devastazioni provocate dal “sonno della ragione”.
Il testo, un classico della letteratura, può apparire datato nella forma ma certo non nella lucida descrizione dei meccanismi attraverso i quali coloro che detengono il potere di una qualsiasi società, in una qualunque epoca, possono modificare, trasformare, sfruttare, distorcere, cambiare a proprio favore, con-una- progressione-quasi-schematica, i principi, le regole, e persino la memoria su cui tale società si fonda, sfruttando l’ignoranza, la pigrizia mentale, il disinteresse del popolo, a sua volta ugualmente colpevole e complice del proprio misero destino, come nel sadico gioco della vittima e del carnefice.

La foto di questa pagina è di Daniela Neri

A futura memoria

Polonia 1942: un giovane e colto polacco, sensibile marito e padre, decide di entrare nella polizia ebraica voluta dai tedeschi nel ghetto, con la speranza di salvare se stesso e la propria famiglia dai “campi di lavoro”.

Sannicandro Garganico (Puglia) 1938: un umile cantastorie si fa capo spirituale di un gruppo di contadini che si convertono all’ebraismo proprio nel momento in cui in Italia vengono istituite le leggi razziali.

Due storie lontane e realmente accadute, due lingue diverse, due sfondi opposti: la grande città al centro della Storia e lo sperduto paese ai margini della stessa Storia, un lieto fine ed uno tragico. Ciò che accomuna i protagonisti è forse l’aver compiuto scelte forti, estreme mossi dalla speranza di salvezza, del corpo o dell’anima.

Ho deciso di raccontarle una dopo l’altra perché il paradosso che ne scaturisce offre una chiave di lettura della Storia passata e crea un corto circuito tra memoria e contemporaneità.
“A futura memoria” è uno spettacolo di narrazione in cui le forme popolari incontrano l’esperienza del teatro di ricerca. Non intende essere una ricostruzione storica del nazifascismo. E’ piuttosto una riflessione sulla condizione umana della vittima e sulla ricerca “della salvezza”. A qualunque costo.
Massimiliano Poli

Lo spettacolo si adatta ad ogni tipo di spazio ma necessita di luogo oscurabile.

D’amore e ombra

D ́amore e ombra è una storia d ́amore tra due ragazzi. È una bella, intensa storia d ́amore e d ́avventura nel Cile degli anni settanta, la cui traiettoria s ́intreccia e si scontra con quella della dittatura militare.
Irene e Francisco, lei giornalista di costume, lui fotografo per la sua rivista, s ́innamorano cercando le tracce di una povera ragazzina desaparecida, e via via intorno a loro si delinea la crudeltà, ma anche l ́assurdità di un esercizio del potere assoluto, arbitrario, spesso semplicemente gratuito.
Tra immagini orrende e figure grottesche, Irene e Francisco compiono un vero e proprio viaggio all ́inferno, mentre intorno a loro, come sagome di uno stupido tiro al bersaglio, cadono quasi tutti, buoni, innocenti, coinvolti e conniventi. Tutti tranne il grande vecchio, cui nemmeno la giustizia internazionale riuscirà mai a far pagare qualcuna delle sue colpe.
Al centro della scena c ́è il narratore, circondato da una popoalzione di sagome che via via scoprono i loro volti, e raccontano le loro storie.

La foto di questa pagina è di Daniela Neri